Ho le braccia di Mastrolindo, ma non il suo profumo. In questa tappa le braccia sono state messe a dura prova! La strada, a parte i primi 15 km, ha tutto quello che un ciclista non vorrebbe trovare, un’orgia confusa di sabbia, pietre, terra bagnata che si annida tra parafango e ruota, ‘onde cementificate’ procurate da mezzi cingolati, pezzi di roccia che emergono sul manto stradale, deviazioni e contro deviazioni per evitare la strada che i cinesi stanno costruendo fino a Dodoma la capitale politica della Tanzania. Anche la cellulite più inamovibile sarebbe scappata da un qualsiasi culone che si fosse cimentato su questo percorso. La strada tendeva a scendere, e il dover frenare per scendere a 20 km/h dove si sarebbe potuto scendere a velocità tripla rendeva il tutto più frustrante.
Sulla strada ho incontrato un miscuglio eterogeneo di persone, cinesi, Masai e tanzaniani che parlavano un po’ di italiano. Con i Masai e i cinesi i problemi di comunicazione sono gli stessi, entrambi non parlano inglese, l’unica differenza è che i Masai sono più simpatici, oltre che più alti, neri ed eleganti. Le Masai che ho incontrato oggi vestivano con tonalità di blu e viola, collane bianche e gialle, con sandali bianchi e le orecchie con dei grandi buchi ma senza orecchini. Verso sera la strada è stata più volte invasa da mandrie custodite da uomini Masai, vestiti col classico vestito rosso, bastone e pugnale, ma molto lontani dal Masai stereotipato che si trova negli alberghi per musungu. Una famiglia con quattro generazioni di donne voleva portarmi a pranzare al loro villaggio, non hanno voluto che le fotografassi perchè nella macchina fotografica c’è qualcosa di magico! La più anziana aveva proprio una faccina da strega buona. Chi parla italiano l’ha imparato dai missionari, non sanno l’inglese ma conoscono la geografia italiana …
Anche questa mattina non sono risucito a partire quando avrei voluto, alla guest house del Neema Craft Centre ad Iringa, un progetto molto interessante per sordomuti e disabili che spazia dalla produzione di oggetti di artigianato alla fisioterapia passando per un ottimo ristorante, la colazione non era pronta e io ho imparato che non posso partire senza mangiare altrimenti vado in crisi dopo 20 km. Per questo sono arrivato col buio che con la luce della luna e le starde bianche ha un suo fascino. Ma domani voglio arrivare a Dodoma col sole ancora alto.
Più o meno dal centesimo chilometro a dieci dalla fine sono stato accompagnato da Ali, musulmano che mi ha detto di non preoccuparmi perchè nostro padre Adamo è lo stesso per noi e per loro, prima di congedarci mi ha indicato la luce lontana della diga di Mtera, costruita dagli italiani negli anni settanta, e mi ha detto ‘God Bless’, Dio ti benedica, senza specificare di quale Dio si trattasse. E’ bello procedere con qualcuno, e avere una luce da seguire. Quando chiedo se c’è una guest house o un albergo mi indicano solo quelle che pensano siano accettabili per un bianco, oggi sono in una guest house di non so il nome da 3$ a Mtera, villaggio sorto intorno alla diga e alla centrale idroelettrica più grande della Tanzania. Queste guest house tanzaniane hanno una loro dignità sono abbastanza pulite tutte con zanzariera e luce.
Domani altri 140 km su e giù nell’orgia sterrata!
Iringa S 7°77.00’ E 35°69.00’ – Mtera Dam S 7° 13.66’ E 35°98.77’
122 km